"Ci sono oggetti che fanno parte dell’esistenza quotidiana: cose che usiamo senza più guardarle, in un orizzonte domestico neutro e tranquillizzante. E ci sono altri oggetti, quelli che rendono i piccoli gesti di tutti i giorni più semplici, più gradevoli, più ‘nostri'".

Alberto Alessi

In questa sede non interessa tanto vedere quale sia stata la trasformazione dell'oggetto "disegnato" dal punto di vista della progettazione, ma analizzare i significati che gli vengono attribuiti da coloro che si occupano di costruire l'immagine pubblicitaria e da quanti lo acquistano, subendo anche gli effetti del fenomeno trattato.

Ma nonostante ci si voglia occupare solo del secondo aspetto, non si può comunque prescindere dal primo, dal momento che la morfologia e la presentazione estetica dell'oggetto disegnato sono i due aspetti fondamentali nella progettazione che consentono, successivamente, il consenso del pubblico e, dunque, l'acquisto. Pertanto, momento progettuale e capacità percettivo-valutativa del consumatore costituiscono un binomio inscindibile.

Variabile significativa a questo proposito è costituita, quindi, da una adeguata "spettacolarizzazione" del prodotto tant'è che spesso, negli anni Ottanta, è stata proprio la presentazione a creare il prodotto, utilizzando al fianco della pubblicità: il packaging, il colore, la luce, la musica e, come mostra il fenomeno in questione, l'ambientazione complessiva. Tutto ciò che è spettacolare diviene unico e magico nell'atto dell'acquisto, e contribuisce ad elevare l'acquirente su di un gradino più alto rispetto al livello di felicità reale raggiunto nell'atto del consumo. Al ritrovato piacere ludico dello shopping, si aggiunge dunque, per il consumatore, quello di godersi lo show, cioè la messa in scena delle immagini finalizzate a conquistarlo. "Partecipe della nuova cultura visuale, il consumatore gusta di più - e più consapevolmente che in passato - la rappresentazione, il rito, la pantomima che viene recitata allo scopo di sedurlo e di invogliarlo a comprare, subendo volentieri la tirannia del suo stesso desiderio."

Francesco Morace propone di considerare il parco dei prodotti di design suddiviso in tre generazioni definite in base al tipo di funzione secondaria spettante agli oggetti che in esse ricadono. Esse sono:

"• una fase segnaletica, che va dagli inizi degli anni Sessanta fino alla metà degli anni Settanta, in cui i prodotti di consumo rispecchiano un sistema di valori sociali ed economici, e che propone il massimo grado di passività della materia rispetto a modelli di identità sociale molto ben definiti;

• una fase mimica, che va dalla metà degli anni Settanta alla metà degli anni Ottanta, in cui i prodotti simulano un sistema di valori sociali e culturali, e in cui il confine tra attivo e passivo e perfino tra identità e materia assume il massimo grado di ambiguità;

• infine una fase maieutica, che va dalla fine degli anni Ottanta e che ipotizziamo per gli anni Novanta, in cui i prodotti di consumo potrebbero generare un nuovo sistema di valori e di qualità esistenziali e culturali, e in cui essi assumono un significativo ruolo di stimolo attivo per un'identità inter- diretta che cerca nuove regole di relazione con il mondo esterno."

La citazione qui riportata è tratta da un testo redatto agli inizi degli anni Novanta; essa, come mostra l'ultimo capoverso relativo alla fase maieutica - si faccia particolare attenzione a "quel" verbo usato al condizionale ("potrebbero") - si presenta in qualità di previsione per gli anni Novanta.

Tali previsioni, però, - basandosi sull'analisi condotta in campo - non sono del tutto accettabili perché, osservando attentamente le immagini pubblicitarie, ci si può facilmente rendere conto che ogni oggetto in esse presente ha qualità che non appartengono ad un'unica categoria, come Morace ha voluto semplificare.

Il prodotto segnaletico degli anni Sessanta, in realtà, non ha cessato di essere tale ma, anzi, passando attraverso gli anni Ottanta, ha acquisito caratteristiche proprie del nuovo periodo, diventando anche mimico, e così via.

In termini più generali si potrebbe definire l'oggetto come "protesi" e a seconda della lettura che se ne vuole fare assumerà i significati ad essa relativi. E' chiaro che all'interno di un linguaggio pubblicitario l'oggetto di cui si sta parlando non può far altro che rispondere, attraverso le proprie peculiari caratteristiche, alle esigenze del comunicato che, come più volte è stato detto, in base alla teoria del positioning , introdotta nel 1972, deve mirare ad acquisire una delle poche posizioni di vertice libere presso la mente del consumatore. La pubblicità, ormai istituzione, deve stare alle regole della star strategy, basata sull'assunto della mitizzazione degli oggetti fatta da parte del consumatore, approdando, quindi, alla spettacolarizzazione dell'universo mass-mediale, e costruendo l'immagine del prodotto con le stesse regole con cui Hollywood crea una star.

Il fenomeno qui studiato è uno dei modi in cui si attua la star strategy , in quanto "questi" prodotti di design, come star, primeggiano in spazi che in realtà non gli spettano, ma contribuiscono, soprattutto grazie alle loro qualità estetiche e formali, alla promozione del prodotto cui vengono affiancati.

Ai fini di una lettura più approfondita del ruolo dell'oggetto di design nella comunicazione pubblicitaria è opportuno introdurre uno schema semplificativo che mette in relazione l'oggetto e le entità che intorno ad esso gravitano.

 

1. CREATIVO O PUBBLICITARIO
("dispone" gli oggetti disegnati, studiando il comportamento del consumatore, soggetto n.2)

 
 
 

OGGETTO DISEGNATO
(protesi comunicativa)

 
 

2. FRUITORE
(il suo comportamento d'acquisto è oggetto di studio per il soggetto n.1)

 

3. PROGETTISTA / DESIGNER
(crea l'oggetto disegnato, in maniera più o meno consapevole)

Si osservi lo schema (v. figura 57): nel suo centro compare l'oggetto, inteso come "protesi comunicativa" e intorno, in ordine di importanza, il ruolo del creativo o pubblicitario, il fruitore che, mediante la percezione visiva "sedimenta" l'oggetto nella propria memoria - che costituirà, successivamente, quella collettiva - , il progettista o designer che, attraverso la rappresentazione e il progetto, dota l'oggetto di una qualità, di fondamentale importanza ai fini di questo discorso, che è il valore autopubblicitario o autocomunicativo.

Il messaggio fondamentale di questo schema è il nodo principale della tesi: solo alcuni particolari oggetti "disegnati" hanno quelle fondamentali qualità che vengono simultaneamente e obbiettivamente riconosciute da coloro che gli ruotano attorno. Il ruolo del designer è quello di creare un oggetto "gradevole" che sappia autocomunicarsi, quello del fruitore è di fornire al pubblicitario le informazioni giuste al fine di poter "costruire" comunicati spettacolari fatti di "forme" che già si comunicano.

In questo modo l'oggetto di design, che già è protesi comunicativa, diventa protesi comunicativa della comunicazione. La Conica di Aldo Rossi, la Tizio di Richard Sapper sono "apparizioni" che implicano qualcuno a cui manifestarsi. Il pubblico le deve vedere e le vede proprio perché "fuori posto", le ricorda sempre perché "fuori posto", le conserva nella memoria ed è in grado di evocarle agli occhi della mente. Ecco perché occupare spazi che non gli sono propri; e il fenomeno diventa così una sorta di "trasgressione" che consente una maggiore "sedimentazione" dell'oggetto nella memoria collettiva.